A cura di Benino Argentieri (Specializzando IPR)
Leggere “L’uso della metafora in psicoterapia” è come avere un maestro di metafore accanto a noi.
Philip Barker, l’autore, è psichiatria e professore di psichiatria e pediatria. Con linguaggio scorrevole e storie coinvolgenti, ci accoglie in questo manuale della metafora come tecnica di psicoterapia allegando alla fine di ogni capitolo un utilissimo esercizio per imparare a mettere in pratica quello che abbiamo appena letto.
Di metafora ci parlava già Aristotele: dopotutto la parola deriva dal verbo greco metaphérein ‘trasferire’, composto da metá ‘oltre’ e phérein ‘portare’. Così, la metafora è trasferimento delle caratteristiche da un oggetto a un altro. Per esempio l’espressione “lingua tagliente“, che trasferisce al parlato una proprietà delle lame.
Ma il collegamento con la cultura greca non si ferma qui: i racconti mitologici, proprio perché pieni di archetipi e situazioni emblematiche, sono utilizzabili come metafore. Pensiamo alla storia di Narciso, che rappresenta una persona assorbita in sé stessa il cui epilogo è l’annegamento nel proprio ego.
Il fulcro di questa tecnica sta nel fatto che la metafora, un po’ come i sogni, ha due livelli di significato: uno letterale e uno figurato. Il livello letterale serve ad allacciarsi alla parte digitale della comunicazione mentre quello figurato aggancia il paziente analogicamente. Lo psicoterapeuta, infatti, crea una metafora utilizzando elementi della narrazione del paziente, isomorfi, dice Barker. L’isomorfismo abbassa le difese, fa sì che il paziente non si senta giudicato e che il terapeuta non appaia giudicante. Tuttavia, proprio perché il racconto contiene, vela e svela la storia del paziente, in quest’ultimo comincia l’attivazione che è alla base della metafora: perché questo racconto risuona in me? in che modo risuona? cosa mi sta dicendo? come posso utilizzarlo?
Le metafore risultano più interessanti dell’esposizione diretta di un concetto, stimolano l’immaginazione e l’interpretazione, risultano meno minacciose o provocatorie e aiutano così a creare e mantenere la relazione terapeutica. Nella peggiore delle ipotesi, il senso figurato non verrà colto e dunque non ne deriverà alcun danno.
Barker dedica un capitolo ad ogni tipo di metafora:
- racconti lunghi, presenti soprattutto alla fine della terapia;
- aneddoti e racconti brevi, che sottolineano un particolare;
- analogie e similitudini, come il già menzionato “lingua tagliente”;
- metafore di relazione, che trasferiscono su una relazione le caratteristiche di un’altra;
- rituali, come lavarsi per togliersi i pensieri di dosso;
- oggetti metaforici, usati soprattutto con i bambini;
- metafore artistiche, che utilizzano varie tecniche figurative e artistiche, come disegnare o danzare.
Il libro si chiude con una carrellata dei vari impieghi della metafora (con racconti del grande Charlie Chaplin e aneddoti sull’enuresi ed encopresi) e sulla presentazione pratica delle metafore (ad es. l’importanza del ritmo di lettura, dell’utilizzo della voce per sottolineare le cose più importanti e dell’attenzione verso le reazioni soprattutto non verbali dei pazienti).
Un libro piacevole da leggere, pieno di esempi e di esercitazioni per provare subito lo straordinario e potente impiego clinico della comunicazione metaforica.